Negli ultimi anni migliaia di contribuenti hanno acquistato criptovalute per curiosità o come forma alternativa di investimento.
Molti di questi portafogli digitali oggi hanno un valore economico reale, frutto di scambi, conversioni e rivalutazioni.

“Ho soldi su crypto che non posso usare: non so risalire ai guadagni e come pagarne le imposte.”

È una situazione comune a molti investitori, che scoprono di avere un patrimonio digitale difficile da gestire e da dichiarare.
Oggi la normativa è più chiara e la tracciabilità più estesa: ignorare il problema non è più prudente.

1. Quando serve dichiarare

Le criptovalute devono essere indicate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, come attività finanziarie estere.
Inoltre, se si sono realizzate plusvalenze (ad esempio convertendo crypto in euro o altre valute), occorre dichiararle nel quadro RT o T.
Non farlo significa esporsi a sanzioni per omessa o infedele dichiarazione.

2. Perché conviene regolarizzare adesso

Il contesto normativo europeo è diventato più rigoroso: gli operatori di exchange sono soggetti ad autorizzazione e dovranno comunicare i dati alle autorità fiscali.
Ignorare il problema oggi può generare difficoltà domani, quando i flussi informativi saranno automatici.
Agire per tempo consente invece di dimostrare collaborazione e buona fede.

3. Cosa può fare il professionista

Un’analisi accurata consente di:

• raccogliere e uniformare i dati delle diverse piattaforme;
• calcolare le plusvalenze con criteri documentati;
• predisporre eventuali dichiarazioni integrative o correttive.

Il risultato è una posizione chiara e conforme, che consente di utilizzare liberamente il patrimonio digitale.

Conclusione

La fase pionieristica delle criptovalute è terminata.
Chi ha investito, anche solo per curiosità, ha oggi l’opportunità di regolarizzare la propria posizione e operare con serenità.
Un intervento tempestivo è la via più prudente — e la più conveniente.